VERSO UNA SOCIETÀ NON SPECISTA


(pubblicato originariamente sull'Osservatorio politico animalista, 2005, ora off-line)

L'intervento di Adriano Fragano su etica e politica offre spunti interessanti e rende possibile un confronto più sereno di quanto non accada talvolta nelle liste. I punti di divergenza sulla strategia concreta di azione dell'animalismo politico non mi pare siano enormi, anche se ci sono differenze non marginali su cui occorre soffermarsi.
Inizio con un paio di precisazioni marginali sul rapporto teoria/prassi e su marxismo e animalismo. Servono solo da chiarimento e non riguardano dissensi rispetto alle proposte di Adriano.

1) Sul rapporto teoria-prassi. Adriano scrive: “chi teorizza sulla questione animalista ed antispecista troppo spesso si trova imbrigliato in questioni di principio che lo astraggono dalla realtà dei fatti trascendendola, ciò è dannoso, perché porta inevitabilmente tali persone ad assumere delle posizioni attendiste esclusivamente basate sulla speranza di eventi epocali utili ad eliminare la situazione stagnante, troppo spesso la visione teorica del problema allontana pericolosamente dalla realtà dei fatti”. È vero che teoria e prassi procedono meglio insieme. Ma questo è vero sempre e comunque? Se proprio si deve scegliere è più pericoloso agire senza pensare o pensare senza agire? Io penso che lavorare per la teoria sia comunque utile e che la teoria deve essere anche - entro certi limiti - indipendente dalla prassi. “Trascendere la realtà dei fatti” può voler dire due cose ben diverse: 1) pensare senza nessun riferimento alla realtà e alla prassi dell'animalismo: è ciò che qui intende Adriano e su cui siamo tutti d'accordo (spero); 2) riflettere criticamente sulla realtà e sulla prassi attuale senza farsi accecare da essa. E in questo secondo senso è un'ottima cosa e anzi penso ci sia bisogno di più teoria e non di meno: perché infatti si possa avere una prassi diversa da quella attuale occorre anche avere modo di fermarsi e riflettere su quello che si sta facendo (ed è in parte ciò che anche Adriano suggerisce quando propone l'idea di rifondare un'etica antispecista).
Che la prassi attuale non vada bene, d'altronde, siamo tutti d'accordo. E io penso sia importante prendere coscienza di quanto dice Adriano: “tappare le falle” del sistema significa riprodurre il sistema. Ma riconoscere questo non significa necessariamente essere “attendisti”, anzi tutto il contrario. È la condizione necessaria per rimboccarsi le maniche ma, certo, in modo diverso e più consapevole di quanto fatto finora.
Sulle linee generali da seguire ha ragione Adriano. Occorre una strategia condivisa che permetta di dare una prospettiva alle singole azioni che si compiono nel quotidiano e, soprattutto, le rendano tappe progressive di un processo che avanza verso la realizzazione di una società antispecista. Avere una strategia significa questo: ogni cosa è illuminata da un fine e non procede né meccanicamente (“agire ora” per salvare singoli animali perpetuando l'esistente che ne stermina a milioni) né a casaccio (avanzare iniziative politiche in modo autonomo e disorganizzato frantumando ancora di più il popolo animalista).

2) Sulla questione del marxismo. Adriano scrive: “Tentare di riformare, o rifondare, o riscrivere una filosofia nata su presupposti fondamentalmente antropocentrici (perché così è checché ne dicano alcuni di coloro che sono intervenuti nella discussione) mi pare, allo stato dei fatti, un puro e semplice esercizio di stile, e per nulla facile. Non scarto a priori l'idea di cercare di rileggere il marxismo in chiave animalista, a mio avviso vi sono moltissimi elementi utili e “riciclabili” per la causa, ma credo che nella situazione in cui si trova attualmente il movimento animalista italiano (se vogliamo considerarlo tale con uno sforzo ottimistico), l'approccio diretto in chiave marxista del problema sia sbagliato e strategicamente controproducente”. Anche qui la distanza tra le nostre posizioni è più apparente che reale. A prescindere dal fatto se il marxismo sia o no una teoria politica inemendabilmente “antropocentrica” (tesi su cui non intendo tornare in questa sede ma che evidentemente non condivido), nessuno ha pensato di “riformare/rifondare/riscrivere” il marxismo e di costringere gli animalisti ad aderire ad una nuova “ideologia” (termine che - come ho già spiegato altrove - aborro e considero agli antipodi di tutto ciò che scrivo). Sono anzi esattamente d'accordo con Adriano quando parla di elementi marxisti “utili e riciclabili” da parte dell'animalismo. Penso anche che questi elementi utili non siano poi così vaghi e oscuri ma siano evidenti fin d'ora: non ci sarà mai una società antispecista (1) senza un controllo razionale e collettivo sull'economia dello spreco e della distruzione delle risorse, (2) senza far cessare la dittatura delle multinazionali sulla ricerca scientifica e (3) senza far tacere la loro propaganda sui media.
Penso che per raggiungere questi tre obiettivi (che sono solo alcuni dei presupposti di una società antispecista, non certo la sua realizzazione) il marxismo vada benissimo così com'è perché proprio queste tre cose vuole, senza se e senza ma. Quindi quando ho incitato gli animalisti a pensare un po' meno all'etica e un po' più alla politica il mio discorso era anzitutto di Realpolitik: occorre cioè prendere coscienza di quali sono gli obiettivi politici strategici senza i quali una società antispecista non potrà mai esserci. Si può non dichiararsi marxisti e volere lo stesso queste tre cose: a me va bene lo stesso, non sono le etichette che contano!

3) La strategia da seguire. Altra questione è: come si raggiungono questi obiettivi. Io penso che per coerenza, se si desidera davvero porre fine all'anarchia distruttiva del capitalismo, ci si dovrebbe alleare politicamente con chi ha gli stessi obiettivi. Almeno tatticamente mi pare una cosa irrinunciabile. Ma vorrei fosse chiaro che non la considero l'unica cosa da fare. Anzi. Dare l'animalismo in pasto alle burocrazie di partito per salvarlo dalle burocrazie delle grandi associazioni sarebbe una cosa funesta. Bisogna agire a tutti i livelli: (a) trovare la collocazione politica che persegue coerentemente una strategia anticapitalistica (b) senza perdere la propria identità e (c) senza cessare di fare movimento “dal basso”.

(a) Sul primo punto mi pare siamo d'accordo. Se l'animalismo non persegue solo il “benessere” degli animali non può continuare a illudersi di cercare alleanze con chi vuole “riformare” il sistema. Nessuna riforma introdurrà mai la liberazione animale, questo dovrebbe essere chiaro. La vocazione dell'antispecismo è radicalmente antagonista e prima si renderà conto di questo meglio sarà (per gli animali). Esso deve cercare di aprirsi ai movimenti che contestano alla radice il sistema perché questi si aprano a lui. Deve proporre la propria visione radicalmente altra e non violenta dell'esistenza mentre lotta fianco a fianco con gli altri per un mondo senza violenza e sfruttamento. Se questi altri lo vedranno lottare al loro fianco non si insospettiranno più della sua faccia arcigna e sentenziosa e l'animalismo inizierà ad insegnare con l'esempio e non con la predica. Ma l'animalismo ha anche ragioni (e non solo emozioni) da vendere e potrà arricchire la critica antagonista con tutto il suo bagaglio di esperienze. C'è, per dirne una, un gran bisogno che si cominci a parlare di antivivisezionismo e di società medicalizzata anche in quei luoghi dove si pretende che una società migliore dispenserà farmaci a tutti quelli che ne desiderano!

(b) Ma prima di intraprendere una qualsiasi strategia politica, l'animalismo deve avere un'identità. Anche su questo Adriano ha ragione: cacciatori e carnivori non possono stare con noi; d'altronde i primi mi pare che non possano nemmeno coerentemente desiderare un mondo non violento, mentre i secondi possono coerentemente lottare per esso senza mischiarsi con noi....Occorre quindi unirsi e discutere francamente su quali caratteristiche possa e debba avere un soggetto politico antispecista.

(c) Infine, qualora si decida di cercare vie “parlamentari” (lobby, entrismo, partito etc.) questo non significa annullare l'animalismo come movimento “dal basso”. Anzi, la sua lotta assieme ai movimenti antagonisti deve essere una lotta antigerarchica e antiburocratica, dunque radicalmente democratica (cosa che a tutt'oggi l'animalismo con tutte le sue realtà associazionistiche purtroppo non è), professare l'azione e la partecipazione diretta contro la rappresentanza passiva e MAI rinunciare alla sua vocazione etica. Deve invece continuare a professare il suo “messaggio di vita” non violento, cioè continuare a fare quanto più è possibile ora quello che sarà possibile fare solo in una società non specista. E qui la discussione etica proposta da Adriano può avere una grande utilità, a patto di non degenerare in rissa intestina.

La domanda è ora: come si realizza quest'unità tra gli animalisti? A livello etico o politico? Qui comincia il dissenso vero. Io non sono d'accordo su quanto Adriano dice a proposito della priorità dell’etica ma per ragioni del tutto opposte a quelle che lui, probabilmente, mi attribuisce. Anzi, io penso che la sua proposta presti il fianco all'accusa che lui rivolge ai “marxisti”: quella cioè di voler imporre al movimento una “filosofia”, una visione del mondo coerente e globale. Ecco io questo proprio non lo voglio e non l'ho mai voluto. Ribadisco che l'apporto che il marxismo può (e, a mio avviso, deve) dare all'animalismo è anzitutto “strategico”, gli permette cioè di analizzare la società del capitale e di trovare i punti di attacco per rovesciarla. Poi, è vero, io penso che il materialismo costituisca la base di una visione del mondo antispecista ma non pretendo affatto che gli altri si adeguino a questa mia convinzione. Quindi ben vengano religiosi e anarchici se riusciamo a dialogare e trovare un accordo su alcuni punti strategici.
Proprio per questo però penso anche che elaborare a tavolino un'etica per l'animalismo non sia necessario. Se essa è “chiara, diretta e semplice” rischia di essere “vuota”, non credo cioè che possa dire molto di più del “rispetto per la vita altrui” su cui tutti - in astratto - concordano. Se invece cerca di articolare i suoi precetti in modo più preciso c'è il rischio di mettersi a scrivere paragrafi e sottoparagrafi di norme da rispettare e concetti morali da professare: in entrambi i casi significherebbe, questo sì, imporre dall'alto agli animalisti una “filosofia” (e sia pure una filosofia “morale”). Inoltre penso che una filosofia animalista o, meglio, una visione del mondo coerentemente antispecista è qualcosa che riguarda una società antispecista già realizzata, è qualcosa che noi oggi possiamo solo immaginare da lontano. Noi oggi ci dichiariamo “antispecisti” ma nessuno di noi può esserlo davvero in una società che gronda sangue animale da ogni poro.
È necessaria già oggi un'etica per avere una politica antispecista? Io penso che sia più facile accordarci sugli elementi negativi che su quelli positivi, cioè su ciò che è necessario togliere di mezzo perché una società antispecista sia possibile. Con questo non sto dicendo che la teorizzazione di un'etica antispecista è qualcosa che non deve essere tentato...solo penso che si può già agire ora nella direzione di una società antispecista anche senza sapere nei dettagli come essa sarà (perché invece sappiamo benissimo ciò che la rende impossibile oggi). E questo mi sembra più facilmente realizzabile con un programma politico minimo, piuttosto che con una teoria etica.
Ovvio che noi possiamo (e dobbiamo) già stabilire quali sono i comportamenti che vanno in questa direzione e quelli che vanno in direzione opposta (appunto: niente cacciatori, i carnivori lottino con noi per un mondo migliore ma qualche passo più in là). Infatti basiamo la nostra azione di trasformazione proprio su questi comportamenti (no alimentazione carnea, rifiuto dello sfruttamento etc.)...ma, appunto, dovremmo essere più pratici e pretendere non la coerenza assoluta all'interno del movimento quanto chiederci quali sono i nostri obiettivi progressivi e perseguirli assieme a chi, di volta in volta, li condivide (insomma vegani e vegetariani per un lungo tratto possono e debbono lottare insieme.
Ribadisco: se io mi concentro più sulla politica che sull'etica è perché penso che mai come oggi gli individui siano impotenti di fronte alle strutture di potere e che solo l'azione collettiva può realizzare il cambiamento. Ma perché l'azione collettiva sia efficace essa deve individuare e colpire i suoi obiettivi in modo organizzato ed efficace, cioè non disperdersi in mille rivoli.
Non sto sottovalutando l'importanza di scelte etiche individuali: anzi sono fermamente convinto che non esiste un fine assolutamente separato dal mezzo; solo che non voglio nemmeno sottovalutare quel potere economico-politico-militare-mediatico che usa tutti i possibili mezzi per frantumare l'opposizione e che, solitamente, ci riesce benissimo. Nella situazione attuale siamo così disperatamente lontani dai nostri obiettivi e così pericolosamente vicini all'annientamento che la prima scelta etica mi sembra essere: disarmare gli assassini del pianeta.

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